“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”
L.Pirandello

Eppure la pretesa oggi del social più popolare e consueto è quello di avere come nome e principio di individuazione, la faccia, il volto.

L’identità forse non è cosa che puoi comperare su amazon e neanche barattarla di seconda mano su e-bay, l’identità, quel principio antico che fissa la coincidenza tra una cosa e la cosa stessa, oggi latita a favore di un centomila io (per tornare a Pirandello) rappresentato dalle maschere grottesche che ci coprono e ci proteggono al contempo dall’insofferenza verso ciò che siamo e dalla tensione a sembrare ciò che invece non siamo e non possiamo mai essere.

Su facebook sta accadendo un fenomeno interessante, testimoniato da milioni di bacheche nel mondo, ossia la nascita di un perenne carnevale che dura l’intero anno solare, milioni di maschere che sfilano raccontando storie e mondi possibili, tensioni etiche, dibattiti, giudizi sommari, boutade, moti di rabbia, sofferenze proprie e altrui, cani e gatti, conigli e ratti, frasi celebri, cyber bullismo, gruppi anoressici travestiti da bulimici, gruppi di astronauti etero e di bracconieri islandesi omo…

E io chi sono o meglio dove sono, direbbe oggi un frastornato Leopardi davanti al suo gelato sul golfo di Surriento, connesso dal wi-fi del Grand Hotel I Faraglioni.

Io chi sono: Io con le mie domande e le mie tensioni, il vero me, o comunque quel pezzo di carne che davanti lo specchio la mattina mi ricorda qualcuno che ho già visto e di cui avevo nozione fino almeno ad un certo punto della mia vita…solo che appena la mano scivola dolce sull’hard disk esterno della mia coscienza e il dito con fare innocente e compulsivo accarezza la F blu, allora in un corto circuito corticale il volto abbozzato allo specchio un attimo fa è sfigurato dalla maschera.

Si scatena una tensione a diventare quell’altro che non sono io, ma non il super eroe di turno o il mito di riferimento, ma un me ideale delle cui caratteristiche auspicate la natura non mi ha dotato, sintomo amaro che come ha intuito Montale “Non siamo” fino in fondo, ma troviamo scandaloso dircelo.

Si determina un inseguimento poliziesco verso quella parte immaginata di noi che siccome “ci piace(REBBE)” vogliamo a tutti i costi possedere e rendere pubblica per poi auspicare imploranti quel “mi piace” o quella raccolta di “mi piace” che danno senso alla nostra metamorfosi quotidiana e ci fanno sentire accettati SOCIALmente.

Ma io non vedo più la realtà non so a che punto sta diceva profeticamente Anna Oxa (sic!), e il punto è questo: non vedo o mi fa senso vedere come sono davvero.

Ma non perché io sia fatto male, ma semplicemente perché non sono fatto come vorrei o come avrei voluto e allora anziché gettare uno sguardo affettuoso o magari lavorare un pochino per cercare di amarmi come forse un brandello di reale mi ha già amato anche solo una volta nella vita, prendendo il volto di un genitore, di un’amante, di un amico, di un collaboratore, di un pastore belga…e no! Io che faccio invece? No… io m’incazzo e non l’accetto e mi apro la F blu ove racconto la mia storia mascherata e carnascialesca.

Allora a lavoro sono una carogna di direttore commerciale e poi però a casa sono un padre meraviglioso e su Fb lotto per i diritti delle coppie di buoi muschiati e per la salvaguardia del veganesimo negli asili di Roccaraso.

Ci sbrindelliamo l’anima in nome della paura d’essere uno e irripetibile, fuggiamo di fronte la bellezza del nostro volto originario e sempre originale, quel volto che se ben osservato magari inizierà a piacerci un po’ alla volta e magari scopriremo che non è poi cosi male, e che forse merita di essere portato a spasso nella quotidianità senza infingimenti ne maschere.

Il volto umano è un rischio, è anzi assumersi il rischio adulto di prenderci sul serio e accoglierci per quello che siamo, elogiare la fragilità come sacra caratteristica e non rifuggirne come sciagura da nascondere manco fosse lebbra.

Chiederci ogni mattina non chi vogliamo essere, ma chi siamo già, non cosa sia il nostro ideale, ma quali siano già le nostre dotazioni naturali.

Nascondere il proprio volto a se stessi e al mondo, grazie al cielo non potrà mai sanare la dialettica dolorosa tra l’ansia volgare di perfezione e la meravigliosa e contradditoria incoerenza del nostro essere che continuerà a non lasciarci in pace…

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