Da sempre il marketing cattura il consumatore poiché rappresenta l’appagamento dei suoi desideri attraverso il consumo.
Dopo l’erotismo, la trasgressione e l’excitement, il desiderio oggi più intercettato e narrato dal marketing ruota intorno alla salute/benessere e, in Italia, finisce per condensarsi nella promessa - soprattutto alimentare - di “naturalità”. I dati dei primi mesi del 2016 confermano che gli italiani puntano fortemente su alimenti naturali come risorsa per la propria salute e il proprio benessere. Il successo del bio sembra incontenibile, mentre crescono i consumi di frutta e verdure, anche sotto forma di frullati o estratti. Lo testimonia anche la comparsa e l’acquisto di centrifughe ed estrattori, ormai disponibili in qualsiasi catena di elettrodomestici e talora anche nei supermercati – magari abbinati alla raccolta punti. Sembra quasi che, in un’era di incertezza e insicurezza circa la possibilità di mantenere il benessere raggiunto nei decenni passati, rivolgersi a “madre natura” sia un riflesso affettivo, quasi una richiesta di coccole e di attenzioni: del resto “IO VALGO” ed è giusto che “madre natura” si prenda cura di me.
Abbiamo sdegnosamente respinto gli OGM, ignorando che in realtà la maggior parte del grano diffuso in tutto il mondo è geneticamente modificato e che molte popolazione trovano il sostentamento proprio grazie ad innesti artificiali di nutrienti diversi; difendiamo i prodotti italiani alimentari e agricoli, elogiandone le qualità ma dimenticando al contempo i sempre più diffusi fenomeni di inquinamento dei suoli, di scorretta manipolazione e di carenze igieniche. Vogliamo credere che l’olio d’oliva sulle nostre tavole provenga da coltivazioni italiane nonostante la maggior parte delle olive siano di importazione estera. Riteniamo che il nostro latte sia il migliore in commercio nonostante gli alti standard qualitativi della produzione francese e tedesca.
Procedendo in questa direzione corriamo il rischio di illuderci colpevolmente ma anche di riservare a pochi eletti i consumi “privilegiati” di materie prime naturali e italiane.
Dichiariamo guerra a snack e merende confezionate, eppure le dispense delle nostre abitazioni sono invase da dolciumi di ogni tipo. Non a caso, nel nostro Paese, il tasso di obesità in età infantile è in notevole crescita. Così, ci accontentiamo delle promesse pubblicitarie che ci regalano immagini di naturalità e benessere e non ci soffermiamo in un’attenta lettura delle etichette dei prodotti acquistati.
I recenti movimenti vegani e fruttariani, che si impegnano nell’acquisto diretto di materie prime, nella coltivazione e nella preparazione autogestita, rappresentano ancora un’eccezione - seppur in costante crescita - a causa dell’elevato costo in termini di tempo e denaro che ne impedisce una più celere diffusione.
Al fine di trovare un equilibrio più sano rispetto all'inganno pubblicitario o all'autoinganno, occorre innanzitutto fare i conti con il vero contenuto della nostra richiesta di “naturalità” e “benessere”. Solo ponendo la vera domanda riusciremo ad ottenere una reale risposta, magari ricomponendo la contrapposizione ideologica tra naturale e artificiale – un dualismo da superare in un’età post-cartesiana che accetti la complessità e l’interdipendenza dei fenomeni. Magari un marketing orientato alla crescita dell’adultità del consumatore potrà svilupparsi nel tempo, aiutando le persone a conciliare ideale e reale, razionale ed emotivo, individuale e sociale.
Non si può asserire che questo non sia compito del marketing, nascondendoci sotto il falso assunto che l’unico imperativo sia “vendere”. Forse è possibile fare buoni affari anche vendendo un po’ di sana verità.