Qual è lo scarto tra “addestramento” e “form-Azione”?
Un’analisi degli effetti a breve e lungo raggio di due metodi formativi che producono esiti diversi a diverse profondità.
"Faccio il formatore, anzi il Form-AUTORE.
Non credo nell’autoefficacia, ma insegno ogni giorno alle persone ad esserlo sempre di più, se fondata su un atto di responsabilità che prescinde dal risultato immediato a favore di una consistenza esistenziale sul lungo termine.
Non credo all’estensione del dominio di manipolazione delle aziende compiuto attraverso professionisti della leadership che si muovono più come addestratori di cavalli che come insegnanti di un pensiero forte e consapevole.
Questa sottile e dolciastra manipolazione spinge le persone a considerare sé stesse come imprenditori di una piccola azienda che coincide con la propria vita, sempre in bilico tra un successo obbligatorio e il rischio del fallimento.
La proposta di una sorta di libertà obbligatoria (triste ossimoro capitalistico).
Da qui il proliferare di teorie d’ispirazione manageriale sulla gestione della vita privata, dello stress, dei rapporti a casa e a lavoro, ove si edificano castelli imponenti ma privi di finestre per accogliere la luce dello spirito critico o ponti levatoi per accogliere aiuti dall’esterno.
Il loro discorso non fa che sostituire abilmente un modello formale di successo a un modello sostanziale.
È così che negli anni ottanta sono nati come funghi venefici ma illusoriamente bellissimi i 15 gradini, le 12 abitudini, le 37 chiavi magiche. Tutte teorie manageriali create per raggiungere una parola che quando la pronunci è già un participio passato: successo…ei fu..."